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pour voir des jardins je fermais les paupières
A. BAMAIN
Per un animo stanco, oppresso dall'afa della vita, mellifluo conforto del verde che cinge di un ricco monile questa mia bella Firenze! O, nei mattini solatii, per i viali vigilati da limpidi cieli, squisito godimento, piacer vivissimo di chi passa lunghe ore vanamente sognando i più misteriosi sogni! Che, quando il sole ricchissimo protegge, dall'energia sana dei tronchi validi si genera un forte incitamento, e nell'anima si diffonde la calma serena dell'erbe e la vince oblio d'ogni cosa terrena. Ma, se Acquario ostinato minaccia e ci opprime un cielo interamente velato, quasi celi ai nostri occhi
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un amore di Divinità, i dolori ci accasciano e gli alberi hanno forme di spasimo e non c'è pace di verde ove tuffarsi come in un Lete riparatore. Ma ben fanno gli Dei a fiaccare di tedio e di noia questa turpe moltitudine che non si cura di nulla se non le si presenta in quella forma in cui Giove apparve a Danae. Ormai un solo Iddio sopravvive nella sua venerazione: il "triste sacco"; e, nella nuova bisogna, per naturale equilibrio di mastodontiche pance, il fosforo di molta gente ha dovuto esularsene. Si, donnine sentimentali che invadete le panche dei verzieri cittadini, verdastre come amadriadi malaticcie, la poesia è morta e sepolti gli antichi Dei. Ma, a consolazione di vostra frollaggine, una mostruosa folla di nani, nemica d'arte e d'ingegno, su dalle fogne della Letteratura ha invaso tutto, sopraffacendo l'ultimo stuolo delle nostre più sfolgoranti speranze. E le forti energie che possedeva questa nostra Italia privilegiata, in cui bellezza forza e genio già si unirono in un sommo prodigio, non si sprigionano più che per nutrirne la terra, e l'armonia tra la sua sostanza e la sua progenie sembra che voglia completamente sparire. La volgarità che pullula dalla vita contemporanea ha oppresso e vinto ogni nostra più gloriosa idealità. Chi può, dai mediocri viaggi del De Amicis fino agl'insulsi romanzi di Barrili, numerare più i prodotti dell'orribile prosa borghese? E chi, nel ricordo della tradizione gloriosissima contro l'ignobile sacrifizio sente l'animo gonfiarsi di veemente passione?
Ben io, in cui tutti gli ardori dei Latini sono intatti: sete ardente di Dominio di Voluttà di Gloria, nel cui cuore tutte le terre più ricche hanno distillato i loro ardori, tutte le loro flore, tutta la loro opulenza selvaggia, se cerco ove posare le pupille e non trovo che orribili cose, dall'energia della stirpe, teso l'orgoglio verso l'avvenire, prendo impeto a nuove speranze, e mi inebrio e mi eccito e mi esalto alla battaglia.
Così: tutta questa gioventù che non ha una singolare caratteristica esausta d'animo egra di fantasia vota di entusiasmo che crede di poter compendiare tutta la vita e non fa che vuotare il sacchetto della memoria o ripetere le volgarità della sua vita mediocre, ha da tornare al mestiere per cui era fatta. E che importa se per forza di studio si saranno accostati a una certa dignità d'espressione? Troppo si è peccato di gusto, non per esuberanza di fantasia e di sentimento, ma per deficienza; ed a me molto piace che coloro i quali voglion far Arte pecchino d'audacia, cioè di troppo ingegno, e, per la troppa ricchezza delle loro anime, schiaccino sotto valanghe di tesori. Il gusto è una cosa che si acquista, mai, per quanti sforzi eroici faccia un'anima, che non lo era, potrà rendersi profonda.
Nell'espressione iperbolica apocalittica ed anco secentistica, in cui si contorca, come una fiamma, l'anima di un giovane ricca di troppo ardore, noi, oltre le grida dei mediocri per colui che troppo s'innalza da Loro, sempre vedremo l'individualità dell'artista quale apparirà poi perfetta per austera chiaroveggenza di studi. Chi incomincia senza urtare nessuno troppo sa per noi di povertà decente, di cosa mediocre, poi che ciò che piace a tutti, che si adatta ai sentimenti di tutti, non può essere che comune. L'originalità appare sempre come qualche cosa di individuale e di apprezzato da pochi individui.
E, con la letteratura del senso comune traboccante, hanno a finire l'espressioni decadenti e simboliche fino all'ebetudine che da un tempo in qua s'innestano al tronco latino in un ibridismo comico e superridicolo. L'arte nostra deve tornare quello che è stata da Dante fino a Carducci: sommamente italica; dal buon odore di fieni maturi, dall'ingenua semplicità di fiori di campo.
Tutto l'artificio dei semi dementi non campa sotto questo lucidi cieli. Letteratura italica sempre; o che dal ceppo classico nascosto dai muschi del medio Evo, irrompa in incomparabile ricchezza in Cino, nei due Guidi, in Dante; o che succulente ed auree poma fra smalto di verde maturi nel Cinquecento; o verso più liberi cieli distenda le fronde nel risorgimento. Italica sempre, quando abbandonate le nevrosità barbare per la serenità classica, le sole nostre caratteristiche torni a rendere in una maniera più intensa e molteplice che abbia il profumo dei nostri campi e lo splendore dei nostri cieli. E tali noi dobbiamo tornare; limpidi come una chiara acqua, ricchi d'immagini come la nostra terra di frutta, ed offrire, a traverso la nostra anima, la rappresentazione della nostra gioia e della nostra tristezza, piene e complete. Nei ricchi giardini del sogno la Chimera attende l'inno della nostra giovinezza. E noi entreremo; senza fretta però, perchè troppo sappiamo come, per arrivare a ciò che è nostro desiderio, ci occorra conoscere quello che i migliori hanno saputo trarre dalla nostra ubertosa lingua per ottenerne i nuovi miracoli le nuove meraviglie. È nostro sogno un'arte squisita ma non decadente, delicata e forte che, nella serenità classica, riproduca tutte le caratteristiche dell'epoca nostra.
Noi non abbiamo fretta come tutti i giovani che anelano ad una mediocre notorietà. Studieremo ancora per anni ed anni, e, quando avremo anche vissuto e la nostra esperienza sarà completa o quasi, l'espressione della nostra gioia e della nostra tristezza sarà grande e potente. O mia ricca speranza, io ti adoro come Venere Anadiomene.
Ma una bella Signora elegante come una lirica di Poliziano, stupenda come un sogno d'arte passa sotto la mia finestra recando delle violette. Delle violette in quelle mani, in questa fine d'anno, come la primavera sembra più lontana ed ogni desiderio più triste! Ma no, giù le malinconie! uscirò lungo il sole, a quella dolce consolazione, come la fonte a sera, gonfierà nell'animo la gioia che da la gioventù l'amore l'arte ed il desiderio di gloria, e, forse, traboccherà nel cantico della più sfrenata allegrezza.
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